Un po’ di tempo fa c’era una separazione netta tra tempo connesso e tempo disconnesso, tra relazione sociale e spazio privato, tra spazio pubblico e ritiro nell’anima.
Oggi si parla di Nomofobia, abbreviazione della frase non-mobile-phone-fobia, per descrivere la sofferenza transitoria legata al non avere il telefono cellulare a portata di mano e alla paura di perderlo, in poche parole parliamo di sindrome da disconnessione.
Una delle caratteristiche della Nomofobia, ad esempio, è proprio quella sensazione di panico già per la sola idea di non essere rintracciabili. Si accompagna a questo la necessità di un costante aggiornamento sulle informazioni condivise dagli altri e la consultazione del telefono in ogni momento e in ogni luogo.
Siamo sempre connessi o almeno lo crediamo!
Uno sguardo alla ricerca…
Secondo David Greenfield professore di psichiatria all’Università del Connecticut, l’attaccamento allo smartphone è molto simile a tutte le altre dipendenze in quanto causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito celebrale della ricompensa: in altre parole, incoraggia le persone a svolgere attività che credono gli daranno piacere. Così ogni volta che vediamo apparire una notifica sul cellulare sale il livello di dopamina, perché pensiamo che ci sia in serbo per noi qualche cosa di nuovo e interessante. Il problema però è che non possiamo sapere in anticipo se accadrà davvero qualche cosa di bello, così si ha l’impulso di controllare in continuazione innescando lo stesso meccanismo che si attiva in un giocatore di azzardo (Greenfield D.N. e Davis R.A., 2002).
Nel 2014, in Italia, Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente, studiosi dell’Università di Genova, avevano proposto di inserire la Nomofobia nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V). Essa sarebbe caratterizzata da “ansia, disagio, nervosismo e angoscia causati da essere fuori dal contatto con un telefono cellulare o un computer” e verrebbe utilizzata come un guscio protettivo o uno scudo e come mezzo per evitare la comunicazione sociale.
I ricercatori italiani descrivono alcuni campanelli d’allarme per poter riconoscere se si sta ricadendo in questa sindrome:
- Usare regolarmente il telefono cellulare e trascorrere molto tempo su di esso;
- Avere uno o più dispositivi;
- Portare sempre un carica batterie con sé per evitare che il cellulare si scarichi;
- Sentirsi ansioso e nervoso al pensiero di perdere il proprio portatile o quando il telefono cellulare non è disponibile nelle vicinanze o non viene trovato o non può essere utilizzato a causa della mancanza di campo, perché la batteria è esaurita e/o c’è mancanza di credito, o quando si cerca di evitare per quanto possibile, i luoghi e le situazioni in cui è vietato l’uso del dispositivo (come il trasporto pubblico, ristoranti, teatri e aeroporti);
- Mantenere sempre il credito;
- Dare a familiari e amici un numero alternativo di contatto e portando sempre con sé una carta telefonica prepagata per effettuare chiamate di emergenza se il cellulare dovesse rompersi o perdersi o, ancora, se venisse rubato;
- Guardare lo schermo del telefono per vedere se sono stati ricevuti messaggi o chiamate. In questo caso si parla di un particolare disturbo che definito ringxiety, mettendo insieme la parola “squillo” in inglese e la parola ansia.
- Controllo costante del livello di batteria del dispositivo per assicurarsi che non si possa scaricare per eventuali operazioni importanti;
- Mantenere il telefono cellulare acceso sempre (24 ore al giorno);
- Dormire con cellulare o tablet a letto;
- Utilizzare lo smartphone in posti poco pertinenti.
I ricercatori raccomandano di evitare di considerare tutti i comportamenti sopracitati come patologici.
Dunque si può parlare di nomofobia quando una persona prova una paura sproporzionata di rimanere fuori dal contatto di rete mobile, al punto da sperimentare effetti fisici collaterali simili all’attacco di panico come mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore toracico, nausea.
Pertanto, è importante auto istruirsi ad un rapporto equilibrato con il telefonino, concedendosi ogni tanto una qualche pausa dalla sua presenza confortante e rassicurante, ricordandosi che forse la vera connessione è il contatto umano, è stare con l’altro in una relazione non mediata da strumenti tecnologici. Tali strumenti che non vanno demonizzati, ma usati con maggiore consapevolezza.